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La Banca d’Italia ringrazia la VI Commissione Permanente della Camera dei Deputati per l’invito a esprimere le proprie valutazioni sulla proposta di legge AC 75 “Delega al Governo per la riforma fiscale”, presentato dagli on.li Luigi Marattin ed Enrico Costa.

Nella presente memoria si formulano dapprima osservazioni specifiche su alcune delle previsioni contenute negli articoli della proposta di legge riguardanti specifici aspetti del sistema tributario, seguite da una valutazione complessiva del progetto di riforma.

1. Osservazioni sui singoli articoli

Articolo 2 (Principi e criteri direttivi per la revisione del sistema di imposizione personale sui redditi). – L’articolo 2 prevede una progressiva revisione dell’imposizione dei redditi di capitale e armonizzazione dei regimi di tassazione del risparmio; mantiene il regime forfettario per imprenditori persone fisiche ed esercenti arti e professioni, aggiungendovi un meccanismo transitorio per regolare il passaggio al regime ordinario; conferma l’impianto progressivo dell’Irpef, prevedendo al contempo una graduale riduzione del carico fiscale e un ripensamento del disegno complessivo dell’imposta per incentivare l’offerta di lavoro; prevede, infine, il riordino di deduzioni e le detrazioni alla luce delle loro finalità e una proposta di revisione del meccanismo dei saldi e degli acconti Irpef per lavoratori autonomi e imprenditori individuali.

Rispetto alla revisione del trattamento fiscale dei redditi derivanti dall’impiego del capitale, il progetto di legge indica l’obiettivo di favorire l’efficiente funzionamento del mercato dei capitali, aumentando il grado di neutralità fiscale e prevedendo l’applicazione di un prelievo proporzionale ai redditi di capitale, nonché distinguendo tra redditi di capitale mobiliare e immobiliare.

Con particolare riferimento ai redditi di natura finanziaria, si prevede l’armonizzazione dei regimi di tassazione, anche relativamente alle basi imponibili e al progressivo superamento della distinzione tra le due categorie

dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria. Specifica attenzione è prestata all’esigenza di contenere gli spazi di elusione e di erosione dell’imposta.

I criteri indicati dalla proposta di legge si limitano a indicare il modello della tassazione cedolare e proporzionale per i redditi derivanti dall’investimento del capitale, unitamente al superamento della distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi per i proventi finanziari, senza entrare nel merito né del momento di applicazione del prelievo né delle specifiche modalità di tassazione (in dichiarazione a cura del contribuente o tramite intermediari autorizzati).

In assenza di indicazioni specifiche, non è chiaro se l’“armonizzazione” delle basi imponibili debba essere intesa anche come superamento dei residui casi di tassazione in base al principio del maturato (gestioni individuali di portafoglio e rendimenti delle forme di previdenza complementare). Rispetto alle modalità di applicazione del prelievo, l’accento posto sui regimi cedolari indurrebbe a ritenere che si intenda confermare l’attuale assetto basato sull’applicazione del prelievo principalmente a cura degli intermediari.

Nessuna indicazione specifica viene fornita con riferimento alle aliquote di tassazione, né rispetto all’eventuale superamento dell’aliquota agevolata per i titoli pubblici, né con riferimento all’eventuale armonizzazione delle aliquote di tassazione dei redditi finanziari e degli altri redditi derivanti dall’impiego del capitale quale quelli immobiliari. Inoltre, la proposta non sembra contemplare forme di attenuazione della doppia imposizione sui dividendi né forme di coordinamento tra imposizione sui redditi e imposizione patrimoniale gravante sulle diverse forme di investimenti.

Sui punti richiamati, così come sulla necessità di prestare attenzione ai profili di erosione e di elusione dell’imposta, la proposta potrebbe beneficiare di una formulazione più dettagliata dei criteri di delega, che ne chiarisca maggiormente i contenuti.

L’intervento sul regime forfettario con tassazione al 15 per cento è volto principalmente ad attenuare il “salto d’imposta” che si produce al superamento della soglia di ricavi o compensi e quindi al passaggio alle aliquote progressive. Si tratta di una scelta che mira a contenere comportamenti elusivi, proponendosi di evitare che tale “salto” diventi un incentivo alla sotto-fatturazione per evitare il superamento della soglia. Anche se la misura

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potrebbe limitare l’occultamento di redditi imponibili, essa aumenta il grado di erosione dell’Irpef; inoltre, gli stessi problemi connessi con il salto di imposta si avrebbero al momento del passaggio alla tassazione progressiva. Sarebbe più coerente con gli altri obiettivi della delega in materia di Irpef – la conferma della progressività dell’imposta e il rispetto dell’equità orizzontale – l’eliminazione dell’aliquota agevolata del regime forfettario e la conservazione dello stesso limitatamente alla semplificazione nel calcolo della base imponibile.

Quanto all’impianto generale dell’Irpef, la delega prevede che la revisione dell’imposta sia finalizzata a perseguire altri due obiettivi: ridurre gradualmente le aliquote medie effettive, a partire da quelle sui redditi medio-bassi, per favorire la partecipazione al mercato del lavoro, specie dei giovani e dei secondi percettori di reddito, nonché l’attività imprenditoriale e l’emersione degli imponibili; contenere “le variazioni eccessive delle aliquote marginali effettive” per stimolare l’offerta di lavoro degli individui già occupati.

Il testo della delega specifica che per aliquote medie e marginali effettive si intendono quelle derivanti dall’applicazione dell’Irpef senza tenere conto dei regimi sostitutivi e delle detrazioni diverse da quelle per tipo di reddito. Quest’ultima specificazione potrebbe sottintendere un approccio poco integrato alla revisione del sistema tributario, che limiterebbe l’efficacia degli interventi nel perseguimento dei due obiettivi indicati. Per le scelte economiche individuali di offerta di lavoro, infatti, non rileva solo il livello di tassazione determinato dall’Irpef, ma anche il complesso degli istituti del sistema tributario e di welfare che concorrono a determinare il reddito disponibile per consumi e risparmi.

Negli ultimi anni, l’accresciuta attenzione al contrasto alla povertà ha comportato l’introduzione del Reddito di cittadinanza; al contempo, il riconoscimento dei problemi connessi con la bassa natalità e con i costi della genitorialità ha portato alla definizione dell’Assegno unico e universale per i figli. Questi nuovi strumenti presentano importanti interazioni con aspetti di natura fiscale, come ad esempio la definizione della no-tax area dell’Irpef per il Reddito di cittadinanza o gli effetti sulla progressività dell’imposta derivanti dall’abrogazione della detrazione per i figli in connessione con l’introduzione dell’Assegno unico e universale. Sarebbe pertanto opportuno che i criteri e i principi della delega facessero riferimento anche agli effetti congiunti di tutte le politiche tributarie e di sostegno al reddito che

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interessano le famiglie, di cui l’Irpef è sicuramente una parte importante, ma non esaustiva.

La delega prefigura una revisione del sistema delle tax expenditures, tenendo conto delle loro finalità e dei loro effetti su efficienza ed equità; in alcuni casi (detrazioni relative alle spese sanitarie) si prevede l’erogazione diretta di rimborsi in caso di oneri sostenuti con mezzi di pagamento tracciabili. Tale revisione è quanto mai opportuna: essa può permettere di verificare l’appropriatezza della tutela oggi garantita ad alcune situazioni di bisogno. Ne trarrebbe in questo modo giovamento l’equità complessiva del nostro sistema. L’erogazione diretta delle detrazioni, sotto forma di rimborsi erogati tramite piattaforme telematiche, potrebbe comportare effetti negativi sul gettito: oggi, infatti, l’effettiva spettanza delle detrazioni può essere determinata solo in sede di dichiarazione annuale, essendo legata alla capienza dell’imposta dovuta.

Infine, si propone la graduale ripartizione nel corso dell’anno dei meccanismi di acconto dell’Irpef per tutti i lavoratori autonomi e imprenditori individuali e per altri contribuenti (società di persone e società di capitali) di piccole dimensioni1, fino ad arrivare a un sistema di 12 versamenti mensili che sostituisca i 2 attuali. La proposta può consentire di meglio calibrare temporalmente il pagamento delle imposte rispetto al formarsi della base imponibile, attenuando eventuali problemi di liquidità che l’attuale concentrazione dei versamenti in due date può produrre; andranno ben valutati gli effetti che questa misura potrebbe avere, almeno nel primo anno di applicazione, sui saldi di bilancio pubblico. Viene proposto anche il progressivo superamento del sistema della ritenuta d’acconto, al fine di ridurre le posizioni creditorie che possono crearsi. Questo intervento andrebbe attentamente valutato, anche per i possibili effetti sul gettito erariale: il sistema della ritenuta d’acconto ha, tra gli altri, la funzione di intercettare i redditi dei lavoratori autonomi e di assoggettarli a tassazione “preventiva”, in modo analogo, anche se non del tutto sovrapponibile, a quanto accade per i lavoratori dipendenti.

Articolo 3 (Principi e criteri direttivi per la revisione dell’Ires e della tassazione del reddito d’impresa). – I criteri direttivi per la revisione dell’Ires e della tassazione del reddito d’impresa sono articolati lungo tre direttrici:

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Si tratta dei soggetti cui si applicano gli ISA, i.e. con ricavi inferiori a 5,2 milioni di euro.

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a) tendere a un assetto in cui sia limitata l’influenza di considerazioni di natura fiscale sulla scelta delle forme giuridiche e organizzative con le quali svolgere l’attività imprenditoriale; b) perseguire la semplificazione e la stabilità dell’Ires, cercando di ridurre gli oneri di compliance a carico delle imprese; c) adeguare la disciplina dell’Ires ai mutamenti più significativi intervenuti nel sistema economico, anche avvicinandola a quella dei principali paesi europei.

I principi e i criteri direttivi sono sostanzialmente condivisibili.

Nell’ottica di evitare che scelte organizzative non efficienti siano dettate essenzialmente da motivazioni fiscali, la delega invita a coordinare la tassazione del reddito d’impresa in Irpef con quanto previsto dall’imposta sulle società, in modo da equiparare il trattamento fiscale tra soggetti similari sotto il profilo dimensionale e reddituale.

Nel sistema attuale convivono regole differenziate nella determinazione della base imponibile e del prelievo per soggetti che producono redditi d’impresa: essi, a seconda della forma organizzativa prescelta, sono tassati alle aliquote progressive dell’Irpef o a quelle proporzionali del regime forfetario (come ricordato pari al 15 per cento) o dell’Ires (l’aliquota ordinaria è il 24 per cento); in base al regime di contabilità applicato (semplificato o ordinario), computano l’imponibile con diverse modalità. Inoltre, sempre sotto il profilo della neutralità delle scelte organizzative, il regime forfetario con la tassazione al 15 per cento può condurre a scelte organizzative subottimali e incentivare l’evasione per evitare il forte aggravio fiscale che deriverebbe dal superamento del limite dei ricavi.

La semplificazione dell’Ires risulta auspicabile: in relazione ai soggetti che svolgono attività d’impresa con un’organizzazione di tipo societario, sussistono spazi per il riconoscimento ai fini fiscali delle poste così come contabilizzate in ossequio ai principi civilistici e contabili.

Nonostante il principio di “derivazione rafforzata” di cui all’art. 83 del TUIR2, permangono infatti ancora dei disallineamenti tra quanto contabilizzato

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Il principio di “derivazione rafforzata” prevede che valgano anche ai fini fiscali le qualificazioni, le classificazioni e il momento di iscrizione nel bilancio civilistico dei costi, dei ricavi, delle attività e delle passività; la sua introduzione nel 2006 ha permesso di ridurre, ma non di annullare, le differenze tra valori civilistici e fiscali in quanto per le valutazioni continuano ad applicarsi regole fiscali specifiche.

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e quanto riconosciuto ai fini fiscali che obbligano i contribuenti alla gravosa tenuta di un “doppio binario”.

Tale principio non si applica anzitutto a una intera categoria di soggetti, quella delle “micro- imprese” di cui all’articolo 2435-ter del codice civile. Ma anche tra i destinatari del principio di derivazione rafforzata, l’applicazione di alcune disposizioni fiscali comporta la necessità di effettuare tutta una serie di variazioni in aumento e in diminuzione del risultato d’esercizio per tenere conto, anzitutto, dei limiti che il legislatore ha stabilito alla deducibilità di taluni costi. In alcuni casi tali limiti riguardano unicamente il timing (rinvio, in tutto o in parte, della deducibilità del costo a uno o più esercizi successivi); in altri, invece, hanno natura permanente, stabilendo una deducibilità ridotta o nulla rispetto al costo effettivamente sostenuto. A ciò si aggiunga che la regola fiscale può determinare un disallineamento tra i valori civilistici e fiscali che va gestito lungo più esercizi, comportando l’esigenza di tenere memoria di questo “doppio binario” e dei diversi valori residui che ne conseguono.

L’esempio più rilevante riguarda gli ammortamenti; la delega li indica espressamente invitando il Governo a ripensarne la disciplina. Allo stato attuale, infatti, l’applicazione dei coefficienti ministeriali di ammortamento può determinare, nel caso di imprese organizzate con strutture societarie tenute all’osservanza dei principi contabili nella redazione del bilancio, la determinazione di quote di ammortamento fiscale diverse da quelle imputate a conto economico, con la necessità di operare le variazioni in dichiarazione dei redditi e di gestirne il “doppio binario”.

Sempre nell’ottica della semplificazione e della razionalizzazione ulteriori margini di intervento sono ravvisabili in relazione alle valutazioni di rimanenze e commesse, che possono generare disallineamenti in quanto il principio di derivazione rafforzata riguarda la qualificazione del fatto aziendale, la classificazione in bilancio e la competenza temporale, ma non si estende anche all’aspetto valutativo.

L’evoluzione dei sistemi di tassazione del reddito d’impresa a livello internazionale, anche a seguito dei lavori OCSE su base erosion and profit shifting (BEPS), e le differenze esistenti tra il sistema tributario italiano e quello degli altri maggiori paesi giustificano la previsione di adeguare la disciplina Ires ai mutamenti più significativi intervenuti nel sistema economico. Il permanere di differenze in questo ambito potrebbe comportare, infatti, sia svantaggi competitivi per le imprese italiane rispetto a società residenti in altre giurisdizioni, sia disincentivi per soggetti esteri a effettuare investimenti in Italia piuttosto che in altri paesi.

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Esempi di differenze tra regime italiano di tassazione del reddito societario e regimi esteri sono il riporto all’indietro delle perdite fiscali (cd. “carry back”) e la disciplina degli interessi passivi. Il “carry back” consente, in presenza di perdite fiscali, di ricalcolare l’imposta degli esercizi precedenti a quello in cui la perdita è maturata, al fine di ottenere, in tutto o in parte, il rimborso di quanto versato. Nel sistema tributario italiano questo istituto non è presente; è possibile invece compensare il reddito imponibile di un esercizio con le perdite degli esercizi precedenti (cd. “carry forward”). Nei paesi appartenenti all’Unione europea, secondo quanto previsto dalla direttiva “Anti-Tax Avoidance”, gli interessi passivi sono deducibili per un valore pari agli interessi attivi; l’eccedenza è deducibile nei limiti del 30 per cento del risultato operativo lordo. L’Italia non prevede la possibilità, contenuta nella direttiva, di dedurre in ogni caso l’eccedenza fino a tre milioni di euro o che le imprese non facenti parte di un gruppo possano dedurre integralmente gli interessi passivi; di questa facoltà si sono invece avvalsi, con varie modalità, i maggiori paesi europei.

Articolo 4 (Principi e criteri direttivi per la razionalizzazione dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette). – Il disegno di legge delega richiama, in materia di IVA, i temi della razionalizzazione e semplificazione dell’imposta, della riduzione degli spazi di erosione e di evasione, nonché, più in generale, dell’aumento dell’efficienza dell’IVA, aspetti sui quali il sistema nazionale presenta significativi margini di miglioramento, anche nel confronto con altri paesi.

Quanto delineato nella proposta di riforma, sebbene in termini estremamente generali, è sostanzialmente condivisibile. In ogni caso, l’ampia portata dell’intervento richiede che sia prestata attenzione al coordinamento delle varie misure che saranno introdotte.

Andrebbe meglio definito e bilanciato l’ambito di intervento in materia di razionalizzazione della struttura dell’imposta. Da un lato, occorrerebbe specificare le finalità da perseguire attraverso la revisione del sistema di aliquote ridotte, per quanto attiene la misura, la distribuzione del prelievo, nonché l’eventuale necessità di ridurre il grado di frammentazione normativa attualmente esistente; dall’altro, sarebbe auspicabile stabilire che le modifiche interessino non solo il quadro vigente dei prelievi agevolati, ma anche, più in generale, la semplificazione e l’armonizzazione degli strumenti di compliance (fatturazione elettronica e relativo ambito di applicazione, che potrebbe essere esteso ai soggetti oggi esclusi, dichiarazioni e comunicazioni di dati oramai obsolete, etc.) ed eventualmente la riduzione del numero e dell’ambito di applicazione di regimi speciali. Infine, se il riferimento al “contrasto” dell’erosione trova coerente collocazione nel macro-obiettivo di razionalizzazione del tributo, lo stesso non può dirsi per la strategia di

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contrasto all’evasione, la cui attuazione può prevedere il ricorso a strumenti autonomi e non necessariamente collegati alla revisione delle aliquote ridotte o alla semplificazione dell’IVA. In tal senso, sarebbe preferibile rendere autonomo l’obiettivo di contrasto all’evasione, individuandone con un maggiore grado di dettaglio le aree di intervento.

Condivisibile è, infine, la previsione, contenuta sempre nell’articolo 4, di rivedere le esistenti forme di tassazione ambientale in modo coerente con le più recenti iniziative europee volte a promuovere la tutela dell’ambiente, riducendo il ricorso alle fonti energetiche più inquinanti e incentivando quelle rinnovabili. Imposte di questo tipo forniscono un segnale di prezzo che, soprattutto se mantenuto nel tempo, incentiva innovazioni tecnologiche in grado di ridurre le ripercussioni ambientali delle attività di produzione e consumo, portando il sistema economico verso un sentiero di sviluppo più sostenibile. Al contempo, il riferimento ai principi delineati dallo European Green Deal sembra opportunamente richiamare il legislatore delegato a prestare la dovuta attenzione all’impatto redistributivo degli interventi di riforma.

Articolo 5 (Principi e criteri direttivi per il graduale superamento dell’IRAP). – Il disegno di legge delega per la riforma fiscale prevede il graduale superamento dell’IRAP.

L’IRAP è stata introdotta nel 1998 in sostituzione di altre imposte e contributi (Ilor, patrimoniale sulle imprese e contributi al Servizio sanitario nazionale i più importanti) per semplificare il sistema fiscale. Si trattava, nel disegno originale, di un tributo reale, a larga base imponibile e bassa aliquota, con facoltà per le Regioni di variarne la misura entro limiti prefissati e di differenziare il prelievo per categorie e settori produttivi; colpiva tutti i fattori della produzione e non influiva sulla scelta tra debito e capitale di rischio. All’atto della sua introduzione l’IRAP rivestiva un ruolo significativo all’interno del sistema di finanziamento delle Regioni, arrivando a rappresentare oltre il 50 per cento delle loro entrate tributarie e quasi il 30 per cento di quelle correnti; il suo gettito – che in base alle disposizioni di legge concorre al finanziamento del fabbisogno sanitario – copriva nei primi anni duemila una quota pari a circa il 40 per cento della spesa relativa all’erogazione dei livelli essenziali di assistenza3.

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La parte di spesa non coperta da IRAP, addizionale all’Irpef e ricavi delle ASL viene finanziata dallo Stato attraverso la compartecipazione all’IVA.

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Nei venti anni successivi, interventi del legislatore e della giurisprudenza hanno ridotto l’aliquota e la base imponibile (soprattutto con la deduzione del costo del lavoro dei dipendenti a tempo indeterminato), oltre a restringere l’ambito soggettivo di applicazione (che non vede più tra i soggetti passivi gran parte delle piccole imprese e dei lavoratori autonomi). Il gettito si è consistentemente ridimensionato.

Allo stato attuale l’IRAP riguarda circa il [35] per cento delle partite IVA; in base ai dati delle dichiarazioni 2020, il gettito proveniente dal settore privato è stato pari a [11,7] miliardi di euro di cui circa il [90%] dalle società di capitali4. L’incidenza dell’IRAP sulle entrate tributarie regionali e sulle entrate correnti è calata progressivamente nel corso del tempo e a oggi la quota di fabbisogno sanitario coperta da tale imposta si è [più che dimezzata] rispetto ai primi anni duemila. L’IRAP è pertanto diventata sempre meno idonea a perseguire gli obiettivi inizialmente prefissati dell’autonomia tributaria e della responsabilizzazione finanziaria delle Regioni.

Le modifiche intervenute negli anni non hanno però ridotto gli adempimenti, in quanto è sempre necessario calcolare una base imponibile con regole diverse da quelle dell’Irpef o dell’Ires. Il superamento dell’IRAP avrebbe quindi effetti positivi in termini di semplificazione del sistema tributario nel suo complesso, con una conseguente riduzione dei costi di compliance e amministrativi.

Il disegno di legge delega sulla riforma fiscale fornisce qualche indicazione sulle modalità con cui superare l’IRAP, dando la priorità a società di persone, studi associati e società fra professionisti ed escludendo aggravi sui redditi da lavoro dipendente e pensione, ma non precisa le fonti alternative di entrata per le Regioni, limitandosi a richiamare la necessità di preservare il finanziamento della sanità, in particolare per quelle con squilibri di bilancio sanitario o piani di rientro. Considerata l’entità del gettito tuttora assicurato dall’IRAP, sarebbe auspicabile che i criteri da seguire per soddisfare tale necessità fossero precisamente indicati nella legge delega, soprattutto qualora la copertura degli oneri per il bilancio dovesse essere assicurata attraverso l’introduzione di nuove forme di imposizione.

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Il dato riportato non considera le persone fisiche (imprenditori individuali e lavoratori autonomi), alle quali l’IRAP non si applica a partire dal 2022.

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In ogni caso, qualunque fosse la forma di finanziamento prescelta, andrebbe considerato l’impatto delle modifiche sul grado di autonomia tributaria delle Regioni, già in riduzione negli ultimi anni e con un ormai limitato grado di manovrabilità, tenendo conto anche della necessità di rafforzare la separazione delle fonti ed evitando la commistione fra obiettivi di politica economica nazionali e locali. Questa scelta andrebbe effettuata nell’ambito di un disegno più organico e coerente dell’intero assetto di finanza decentrata, anche alla luce del completamento del federalismo fiscale inserito quale riforma abilitante nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza e dell’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni. Affinché possano produrre risultati apprezzabili dal punto di vista dell’efficienza dell’intervento pubblico, tali progetti dovrebbero fondarsi sulla corrispondenza fra responsabilità di spesa e responsabilità di entrata di ciascun livello di governo.

Articolo 6 (Principi e criteri direttivi per la modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e revisione del catasto fabbricati). – La necessità per l’Italia di porre rimedio all’obsolescenza dei dati catastali è un tema più volte sollevato, anche da enti internazionali5. Il legislatore ha affrontato in diverse occasioni negli ultimi due decenni la questione della riforma del catasto, senza però ottenere risultati significativi6.

La delega interviene in primo luogo sul sistema di rilevazione catastale prefigurando l’introduzione di strumenti idonei a individuare immobili non accatastati o abusivi, a correggere il classamento delle unità censite in modo non conforme alle regole e a facilitare lo scambio di informazioni fra Comuni e Agenzia delle entrate. Prospetta inoltre l’integrazione delle evidenze catastali con un’ulteriore rendita per ciascun immobile, stimata secondo criteri indicati dal DPR n. 138/1998. Tale richiamo conferma il ricorso, come base di quantificazione, ai canoni annui “ordinariamente ritraibili” (quindi a valori medi pluriennali), ma dovrebbe comportare l’utilizzo, per le abitazioni e altri immobili a uso ordinario, dei metri quadri in luogo dei vani quale unità di consistenza; soprattutto, essa è corredata dalla previsione di un “periodico

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2020.

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Esempi di tentativi di intervento sul catasto sono contenuti nei seguenti provvedimenti: legge 23 dicembre 1996, n. 662 (art. 3, comma 154); legge 13 maggio 1999, n. 133 (art. 18), disegno di legge delega AC 5291/2012; legge 11 marzo 2014, n. 23.

Ad esempio, la Commissione europea lo ha sottolineato nella Relazione per paese relativa all’Italia

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aggiornamento” di tale ulteriore rendita. Tali dati non troverebbero alcuna applicazione, almeno nell’immediato, nella determinazione di tributi o nella concessione di agevolazioni fiscali o di altri benefici sociali. I valori determinati dall’Osservatorio del mercato immobiliare sarebbero accessibili nell’ambito della consultazione catastale.

Il primo intervento è riconducibile alla funzione “civile” del catasto, cioè alla sua idoneità a fornire una descrizione del bene rispondente allo stato effettivo di quest’ultimo; in particolare, in molti casi il classamento degli immobili è rimasto sostanzialmente inalterato rispetto all’impianto originario del catasto fabbricati, risalente al 1962, e costituisce una concausa della sperequazione e inadeguatezza delle rendite. Non è chiaro, sotto questo profilo, quali sarebbero le conseguenze tributarie di tali operazioni di aggiornamento, né quali siano gli strumenti a esse dedicati.

Apprezzabile può essere il sistematico coinvolgimento nelle operazioni dei Comuni, in quanto titolari della funzione di manutenzione del catasto, ferma restando l’attribuzione dei valori da parte dell’Agenzia. I Comuni dovrebbero ricevere una quota dell’eventuale maggior gettito per destinarla alla riduzione dell’imposizione sugli immobili. Questo dovrebbe evitare che le maggiori risorse siano, anche parzialmente, compensate da una riduzione dei trasferimenti erogati attraverso il fondo di solidarietà comunale.

Sarebbe inoltre opportuno precisare se il termine “immobili”, utilizzato al comma 1, lettera a), numero 1), comprenda, come sembra faccia il capoverso iniziale, anche i terreni agricoli, atteso che il numero 2) sembra invece limitare l’intervento a quelli edificabili accatastati come agricoli. In caso affermativo andrebbe valutato se individuare principi e criteri specifici anche per i terreni effettivamente agricoli. Tali principi e criteri potrebbero riguardare, a titolo meramente indicativo, l’aggiornamento delle qualità di coltura e delle relative classi, la suddivisione tra reddito dominicale e reddito agrario e una più precisa definizione delle attività connesse.

La definizione di un’ulteriore rendita potrebbe costituire un elemento conoscitivo volto a mettere in evidenza la differenza tra rendite aggiornate e rendite utilizzate a fini fiscali e quindi le sperequazioni esistenti. Per quanto si possa considerare significativo tale obiettivo, se questa rimane l’unica finalità dell’operazione, rispetto a essa appare sproporzionato l’onere amministrativo che l’introduzione e soprattutto il continuo aggiornamento di una seconda rendita rischiano di imporre agli uffici relativamente a decine

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di milioni di unità. Storicamente, predisposizione e aggiornamento di un catasto costituiscono sempre operazioni lunghe e difficili, anche se si fa ricorso a tecnologie avanzate, tanto più quando si tratta di fabbricati urbani: la redditività di questi ultimi, infatti, dipende anche da fattori soggettivi (come l’apprezzamento individuale per un determinato quartiere o città) e gli stessi fattori oggettivi (qualità e collocazione) presentano una maggiore variabilità rispetto a quelli dei terreni agricoli (si pensi all’impatto della realizzazione di infrastrutture)7.

Articolo 7 (Principi e criteri direttivi per la revisione delle addizionali comunali e regionali all’Irpef). – La legge delega prevede la sostituzione delle addizionali comunali e regionali all’Irpef, calcolate sulla stessa base imponibile di quest’ultima, con altrettante sovraimposte, determinate con riferimento all’Irpef stessa e manovrabili dai singoli enti impositori. La sostituzione avverrà a parità di gettito complessivo, calcolato utilizzando l’aliquota base per le Regioni e l’aliquota media per i Comuni; questi enti potranno aumentare o diminuire la sovrimposta in modo da garantire le stesse possibilità di incremento di gettito ora garantito applicando la misura massima dell’addizionale. Inoltre, alle fonti di finanziamento di Regioni e Comuni viene aggiunta una compartecipazione al gettito dell’imposta forfettaria su imprenditori persone fisiche ed esercenti arti e professioni.

Le addizionali all’Irpef costituiscono due rilevanti fonti di finanziamento per Regioni e Comuni, pari nel 2020, rispettivamente, a circa 9 e 5 miliardi e a poco più del 6 e del 14 per cento delle rispettive risorse tributarie. Nel corso dell’ultimo decennio, anche in risposta al taglio dei trasferimenti, gli enti hanno fatto ampio ricorso alla facoltà di differenziare e incrementare le aliquote, con il duplice effetto di una marcata eterogeneità territoriale del prelievo effettivo, e di esaurire in quasi metà dei casi gli spazi di manovrabilità8; a 7 Regioni sono state imposte maggiorazioni automatiche per rientrare dai disavanzi sanitari.

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Questi sono gli argomenti che indussero il legislatore italiano a non prevedere, al momento dell’introduzione dell’imposta sui fabbricati nel 1864, un catasto dei fabbricati analogo a quello dei terreni; esso fu istituito solo nel 1939 ed era già obsoleto al momento della sua attivazione nel 1962.

Cfr. audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio sull’assetto della finanza territoriale e sulle linee di sviluppo del federalismo fiscale presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, 5 maggio 2022.

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La riforma delle addizionali avrebbe diverse finalità:

  • –  semplificare la struttura del prelievo, oggi resa complessa dalle opzioni che gli enti territoriali hanno a disposizione come margine di manovra: due terzi delle Regioni e Province autonome hanno optato per aliquote progressive e oltre 2.900 comuni (sui 6.800 comuni che applicano il prelievo) hanno introdotto una fascia esente o aliquote progressive o entrambe le misure. Tale varietà di assetti comporta un appesantimento degli adempimenti, in particolare per i sostituti d’imposta, come i datori di lavoro con dipendenti residenti in località diverse;

  • –  rimuovere la commistione fra diverse scale di progressività, decise dai vari livelli di governo, che determina, come detto, una marcata eterogeneità territoriale, in modo da gestire la progressività dell’Irpef a livello centrale, coerentemente con la funzione redistributiva dell’imposta9;

  • –  evitare il “salto” delle aliquote marginali connesso con l’applicazione delle addizionali al reddito complessivo, anche in presenza di detrazioni che riducono l’Irpef.

    Nella scelta tra addizionali, sovraimposte e compartecipazioni, si deve tener presente che esse costituiscono tutti strumenti di finanza decentrata “condivisa”, soluzione intermedia fra la finanza “separata”, con enti titolari di propri tributi, e la finanza “derivata”, basata su trasferimenti. La distinzione fra i tre strumenti è nella misura della manovrabilità, di diverso grado tra addizionale e sovraimposta e nulla per la compartecipazione, e nella semplicità amministrativa e di compliance, massima nel caso della compartecipazione e minima in quello dell’addizionale. La delega opta esplicitamente per la sovraimposta, in quanto garantirebbe al tempo stesso semplicità e manovrabilità del prelievo. Va tuttavia rilevato che, almeno con riferimento ai Comuni, la semplificazione operata dalla sovraimposta, pur significativa, non sarebbe risolutiva: i datori di lavoro dovrebbero sempre confrontarsi con un universo di svariate migliaia di aliquote.

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Secondo i principi del federalismo fiscale devono essere attribuite al livello di governo centrale le funzioni di stabilizzazione macroeconomica, redistribuzione del reddito e fornitura di beni pubblici nazionali, mentre ai governi locali spetta la fornitura di beni pubblici consumabili all’interno delle relative giurisdizioni.

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Articolo 8 (Principi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione). –All’articolo 8 la delega prevede una riorganizzazione dell’apparato amministrativo che gestisce il sistema nazionale della riscossione, trasferendo, in tutto o in parte, le funzioni e le attività ora svolte dall’Agenzia delle entrate-Riscossione (AdER) all’Agenzia delle entrate (AdE), superando l’attuale separazione formale fra titolare ed esecutore della funzione e rivedendo il meccanismo di remunerazione (il cosiddetto aggio). L’obiettivo principale è aumentare l’efficienza del sistema attraverso l’integrazione e interoperabilità dei sistemi informatici e delle banche dati, eliminando duplicazioni e riducendo quindi i costi operativi. Per garantire la continuità del servizio della riscossione, la delega prevede il trasferimento delle risorse strumentali di AdER ad AdE, ivi compreso il personale.

Nonostante recenti interventi normativi, la riscossione continua a essere afflitta da inefficienze: il rapporto tra crediti riscossi e carichi affidati nell’anno risulta di molto inferiore a quello di altri paesi dell’Unione europea10.

Per quanto riguarda gli assetti organizzativi la delega, in continuità con gli interventi del passato, prefigura l’adozione del modello monistico di coincidenza dell’ente impositore con l’esattore che caratterizza anche i principali paesi europei (Francia, Germania, Spagna, Regno Unito), seguendo le raccomandazioni formulate da OCSE e FMI nei loro rapporti del 2016 sull’amministrazione fiscale italiana. Tale scelta consentirebbe una maggiore partecipazione dell’ente impositore all’attività di riscossione, con conseguente incremento dell’efficienza e dell’efficacia del processo grazie a un migliore sfruttamento delle informazioni nell’individuazione delle posizioni a rischio e nell’adozione dei provvedimenti a tutela dell’erario. Il sistema così strutturato dovrebbe poggiare sulla piena condivisione delle basi informative e sull’adozione di procedure semplificate e differenziate per tipo di credito. Peraltro l’alternativo sistema duale di separazione fra ente impositore e esattore ha consentito di incentrare su un unico esattore l’attività di riscossione anche per conto di soggetti diversi dall’AdE e in relazione a entrate non

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Secondo la relazione inviata dal MEF ai presidenti delle Camere il 12 luglio 2021, il rapporto fra crediti riscossi e crediti affidati nell’anno, riferito al 2016 (8,3 per cento) e al 2017 (12,7 per cento), pone il nostro Paese di gran lunga all’ultimo posto, ben distante dalla media (65 e 66 per cento) dei 16 Stati della UE per cui è disponibile tale dato.

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tributarie: altre agenzie fiscali (Monopoli e Demanio), enti previdenziali (INPS, INAIL e enti di settore) e parte degli enti locali. Forse per tale motivo la delega prevede il trasferimento all’AdE anche solo di parte delle funzioni e delle attività oggi svolte dall’AdER.

Per quanto riguarda la remunerazione dell’esattore, nel 2015, in attuazione della legge delega n. 23/2014, è stato avviato il superamento dell’aggio, sostituendolo con la previsione di “oneri di riscossione” collegati al grado di compliance del contribuente. Sul punto la delega menziona la revisione dell’attuale meccanismo, senza fornire indicazioni esplicite e circostanziate; il testo della delega andrebbe coordinato con quanto già disposto dalla legge di bilancio per il 202211.

Sulla questione dell’aggio va ricordato che le pronunce della Corte costituzionale contengono indicazioni volte a disancorare la remunerazione della riscossione dalle somme iscritte a ruolo, collegandola invece all’attività effettivamente svolta in fase di riscossione. La Corte, pur ritenendo l’aggio legittimo, ha sottolineato come i costi della riscossione siano “fortemente condizionati dall’abnorme dimensione delle esecuzioni infruttuose, che quindi incidono altrettanto fortemente sulla proporzionalità dell’onere riversato sul contribuente” e come quindi si finisca, paradossalmente, con l’addossare “su una limitata platea di contribuenti (...) il peso di una solidarietà né proporzionata, né ragionevole, perché originata in realtà dall’ingente costo della sostanziale impotenza dello Stato a riscuotere i propri crediti”12. In questo senso la revisione del meccanismo di remunerazione risulterebbe strettamente collegata all’adozione del modello monistico e ai conseguenti benefici attesi.

La delega non affronta, invece, altri due problemi, vale a dire il “magazzino” della riscossione e la riscossione locale.

Per quanto riguarda il “magazzino” i recenti provvedimenti di rottamazione delle cartelle e di “saldo e stralcio” non hanno consentito di

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debitore e il mantenimento del rimborso delle spese cautelari, esecutive e di notificazione.

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Cfr. Corte Costituzionale, sentenza del 10.6.2021, n. 120. La sentenza trae origine dall’ordinanza del 5.6.2019 con la quale la CTP di Venezia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale della norma sulla remunerazione del servizio di riscossione (art. 17 d.lgs. n. 112/1999) per contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della Costituzione.

La legge di bilancio 2022 ha previsto l’abrogazione della quota proporzionale dell’aggio a carico del

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ridimensionare lo stock di crediti. Esso, dopo l’assorbimento di Riscossione Sicilia in AdER, ammonta a oltre mille miliardi di euro e riguarda in gran parte partite non riscuotibili in quanto riferite a imprese cessate o fallite o soggetti nei confronti dei quali le procedure esecutive sono risultate infruttuose13. Per il passato una soluzione è stata adottata con la legge di bilancio 2023, semplificando le procedure di discarico automatico. Per quanto riguarda il futuro, nell’ottica di prevenire l’eventuale riformazione del “magazzino” la delega potrebbe essere integrata dalla previsione di analoghi meccanismi di accertamento dell’inesigibilità, che consentano di accelerare il discarico delle partite.

La riscossione locale è stata oggetto di un significativo intervento con la legge di bilancio 2020, che ha modernizzato gli strumenti giuridici e migliorato l’utilizzo delle banche dati, lasciando però invariato il modello pluralistico di gestione; l’assetto organizzativo resta così affidato all’iniziativa dei singoli comuni, in contrasto con quanto avviene nei principali paesi europei.

Articolo 9 (Delega al Governo per la codificazione in materia tributaria). – La delega prevede l’adozione di uno o più decreti legislativi per la codificazione delle disposizioni legislative in materia tributaria. L’intento dell’operazione è garantire la certezza dei rapporti giuridici e la chiarezza delle norme di diritto tributario, sia per le singole imposte sia nelle fasi della procedura impositiva (accertamento, sanzioni, giustizia tributaria).

Un’operazione di “codificazione” del diritto tributario è stata più volte proposta; essa di norma prevede una parte generale – innovativa e contenente le regole comuni di procedura (accertamento, riscossione, contenzioso) e in materia di sanzioni – e una speciale sui singoli tributi.

I principi e criteri della legge delega lasciano trasparire, rispetto a quanto il termine “codificazione” suggerisce, un obiettivo più circoscritto, vale a dire il “consolidamento” – o “codificazione formale” – delle norme

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I dati della Corte dei Conti sul rapporto fra crediti cancellati e stock di crediti per il 2016 e 2017 collocano l’Italia a penultimo posto fra i 17 Stati della UE per cui è disponibile tale dato, con percentuali inferiori all’1 per cento, rispetto a medie oscillanti nella maggior parte dei casi intorno al 15 per cento (cfr. tabella 15, in Corte dei Conti, Sezioni centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, deliberazione 23 dicembre 2022, n. 56/2022/G).

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in testi unici, con modifiche sostanziali soltanto per esigenze di coerenza “giuridica, logica e sistematica”, di chiarezza e di semplificazione e senza la redazione di una parte generale decisamente innovativa.

Nell’impianto della delega la codificazione è posta a conclusione del processo di riforma; questa scelta è verosimilmente giustificata dall’idea che il riordino debba essere effettuato su testi già innovati. Ne deriva che l’operazione potrebbe non iniziare prima di tre anni e mezzo dall’approvazione della legge delega e richiedere, per concludersi, altri due anni.

Per non rinviare così a lungo termine una semplificazione che si ritiene opportuna, si potrebbe considerare l’anticipazione di questa parte della delega, ponendone l’attuazione in parallelo agli altri interventi di riforma. Una tale modalità di lavoro non dovrebbe porre particolari problemi: infatti, i testi “codificati” saranno, in prevalenza, il frutto di interventi formali di riordino, con modifiche anche sostanziali ma limitate, ad esempio, al coordinamento di più testi contradditori o sovrapposti, mentre razionalizzazioni di maggiore portata dovranno essere rimesse a interventi di riforma vera e propria, con uno specifico criterio di delega; i nuovi articoli, inoltre, potrebbero affiancare alla nuova numerazione il riferimento legislativo ai testi originari, come avvenuto da ultimo per alcuni “codici” emanati in attuazione della legge “Bassanini”, consentendo la rifusione dei testi riformati in quelli riordinati in parallelo. Il risultato sarebbe un unico decreto delegato, di riordino e anche di riforma, se attuata per lo specifico argomento.

Il progetto di delega fornisce un’indicazione per una redazione di norme chiare e mirate alla semplificazione. Essa potrebbe essere ulteriormente integrata a livello di principi generali previsti dal comma 2, lett. b), con i tre criteri di revisione individuati dalla legistica per la redazione dei testi unici: sistematico, con esclusione di norme estranee, fusione delle ridondanti e rinumerazione; linguistico, con correzione di errori, ambiguità, termini disomogenei e onomastica obsoleta; di relazione con altre fonti normative, mediante l’eliminazione di norme implicitamente abrogate, incompatibili con interpretazioni sopravvenute, prive di oggetto o dichiarate illegittime da sentenze della Corte costituzionale o attraverso la riformulazione del testo per raccordo con altre norme o modifiche non testuali.

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Apprezzabile, infine, appare la previsione di un sistema di monitoraggio periodico della legislazione codificata, anche se su questo punto sarebbe opportuno fornire criteri più specifici in ordine a modalità, tempi e procedure.

2. Considerazioni generali sul progetto di riforma

Il progetto di legge delega prospetta un intervento di ampio respiro che tocca diversi ambiti del sistema fiscale e rappresenta un passo nella direzione di un’ampia riforma fiscale.

Un ripensamento della struttura della tassazione deve mirare a sostenere la crescita dell’economia, alleggerendo il carico fiscale sui fattori produttivi e riducendo i disincentivi all’offerta di lavoro. Le scelte compiute nel disegno di legge appaiono coerenti con tale obiettivo, ponendo le basi per interventi di revisione che riducano il cuneo fiscale sul lavoro e rimuovano le distorsioni presenti nell’attuale sistema. Al contempo, la riforma deve essere condotta preservando la sostenibilità della finanza pubblica: vanno mantenuti i presidi che il disegno di legge prevede per garantire l’equilibrio dei conti pubblici.

Altrettanto importante è che la riforma del sistema tributario garantisca certezza e coerenza nell’applicazione delle norme. Sotto questo profilo, diverse disposizioni del disegno di legge delega, dall’eliminazione dei tributi minori, alla codificazione e al riallineamento dei valori civilistici e fiscali, mirano alla semplificazione e razionalizzazione del quadro normativo.

Un aspetto rilevante del progetto in esame è il contrasto all’evasione e all’elusione fiscali. Nel conseguimento di quest’ultimo obiettivo particolare enfasi è posta sul rafforzamento dell’amministrazione finanziaria, in particolare sul piano tecnologico e amministrativo, attraverso il pieno utilizzo dei dati della fatturazione elettronica, dello scambio di informazioni e, in generale, dell’anagrafe tributaria, all’interno di un meccanismo ampio e strutturato d’interoperabilità delle banche dati e finalizzato all’effettuazione di analisi di rischio, anche mediante tecniche di intelligenza artificiale. L’effettivo coordinamento di tali strumenti, spesso richiamato ma non ancora compiutamente realizzato, costituisce un passaggio organizzativo necessario per un incremento dellacompliance tributaria. Si tratta, anche in questo caso, di un approccio condivisibile, che potrà essere attuato a patto di proseguire nel processo

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di rafforzamento delle risorse umane e tecnologiche a disposizione dell’amministrazione finanziaria.

L’impianto del disegno di legge delega potrebbe beneficiare di una più precisa definizione e migliore delimitazione di alcuni dei principi e criteri direttivi, che consentirebbero al legislatore delegato scelte più coordinate e coerenti, evitando le possibili criticità connesse con un eccesso di delega.

In particolare, alcuni degli obiettivi generali indicati nel progetto di legge dovrebbero essere meglio declinati attraverso l’indicazione di misure specifiche. Tra questi rientrano il criterio dell’equità orizzontale e quello relativo alla razionalizzazione delle sanzioni amministrative, per il quale è apprezzabile la proposta di garantire la gradualità e la proporzionalità delle sanzioni rispetto alla gravità delle violazioni.

Su un piano più generale, data l’ampiezza degli interventi di riforma delineati, diversi dei quali incidono a più livelli sui singoli fattori produttivi o sugli utilizzi del reddito, tra i principi e criteri direttivi particolare attenzione dovrebbe essere prestata anche all’impatto complessivo delle modifiche. A tal fine, sarebbe utile prevedere appositi meccanismi di coordinamento dei singoli interventi nel quadro del più ampio disegno di riforma, tenendo conto anche dell’interazione con le componenti del sistema fiscale non interessate dalla delega, quali, in primo luogo, i prelievi patrimoniali. Infatti, nel sistema italiano l’interazione di imposte patrimoniali e reddituali può determinare un carico tributario complessivo prossimo, se non superiore, a quello che si avrebbe se gli stessi redditi fossero soggetti all’aliquota marginale massima dell’Irpef.

Nell’ottica delle implicazioni sulla progressività complessiva del sistema fiscale e sugli incentivi all’offerta di lavoro, i criteri e i principi della delega dovrebbero fare esplicito riferimento alla coerenza della tassazione con gli strumenti di sostegno al reddito delle famiglie.

Anche se un punto qualificante della proposta di delega è il rispetto dell’autonomia tributaria degli enti territoriali, un’attenta opera di raccordo dovrebbe interessare i vari interventi previsti dalla delega che impattano sulla finanza locale (IRAP, addizionali, Imu), in connessione con il completamento del federalismo fiscale inserito quale riforma abilitante nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza.

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Sul fronte della fiscalità d’impresa, infine, gli interventi di riforma non dovrebbero prescindere da valutazioni di compatibilità e coerenza con le più recenti novità del contesto internazionale.

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